LA POLENTA
Son nata par far del ben
miga l’o capio suito, ghe mancaria,
se sa i butini, picinini birichini
no je adati a far pulito,
solo a sera, che belo el caroselo
e dopo tuti in leto
nei scartozi sfrofondé, sluxini libaré
l’ agro odor de noni, tragheto par la via.
Pì granda, no ghera verso che magnava
no volea tàcarme
a na’ tera sgrembana,
pòra mama a pianzar descondon,
ma spunta le panocie
cavei bei e longhi da petenar
la Barbie americana, da cunar.
Tanto tempo e passa
el mondo desso tutto cambià,
par caso me casca l’ocio su na dona, par strada
la broca grani de polenta brustolà,
cisà da dove la ven, dove la va
me torna un’ impression
cì e nato nel sol contadin
nol more mai pì.
LA POLENTA
Sono nata per fare del bene
ma non l’ho capito subito, non ero così brava
i bambini, sempre in movimento
combinano marachelle
solo a sera fermi, davanti al carosello
e dopo tutti a letto
sprofondati nel materasso fatto con l’involucro delle pannocchie
da cui si liberavano le lucciole, avvolte dall’acre odore del lavoro dei nonni
un così dolce traghetto, nei fantasmi della notte.
Nell’adolescenza, non volevo mangiare
non volevo vivere in una terra senza grembo
avida di fatica e dolore.
Povera la mia mamma, non sapeva più che fare.
Ma piano piano ho iniziato a vedere la bellezza,
le pannocchie in fiore, meglio della Barbie americana tanto reclamizzata.
Ora il tempo passato ha fatto il suo mestiere, tutto è diverso
per caso una donna per strada, mangia grani di polenta
così inusuale nella mia storia di adesso,
mi ritorna quella sensazione mai scordata
di speranza, propria del mondo contadino
il sapore dell’ eternità.