Pubblichiamo di seguito un ricordo del poeta Luigi Manzi scritto da Angelo Zito.
Morlupo ha perso la sua “voce”
In silenzio, senza dare disturbo, ha spento l’interruttore e ci ha lasciati senza darci il tempo di salutarlo.
Luigi Manzi, poeta e pittore, unica voce nel panorama letterario di Morlupo che ha raccontato nella lingua locale le storie, i personaggi, i fatti che ha conosciuto e che ha contribuito a valorizzare al di là del semplice racconto.
Le sue storie danno una rappresentazione dell’anima dei suoi abitanti, ha scavato i caratteri umani dei suoi “eroi” nelle originali forme espressive e ha costruito una narrazione della realtà del paese che rimarrà come testimonianza di un tempo che non tornerà.
Tutto passa, a ppocu a ppocu
ce rimane ‘o taccafonnu:
‘ndo’ c’è ‘a brace ‘un c’è lu focu.
Tutto quanto se scancella
si sse smorza la memoria.
Il suo legame con Morlupo si è mantenuto saldo, anche se viveva ormai a Roma, e ha voluto dare negli ultimi tempi anche una testimonianza del valore popolare e teatrale dei suoi versi.
Ricordo due spettacoli, a Palazzo Borghese e ai giardini di Piazza Diaz, che hanno coinvolto la partecipazione commossa e divertita di tanti che si sono riconosciuti nei versi di Luigi.
Anche in lingua ha mostrato la sua sensibilità e la cultura che ha sempre caratterizzato il suo impegno nella poesia. Il suo ultimo libro SCISSURE è il segno di una maturità artistica e della raffinatezza del suo modo di poetare.
Quando emergo dal buio dei ripostigli e sosto
spossato ai tuoi piedi, distrutto dalla fatica;
o quando, chiuso nei postriboli,
t’offro la lingua lucida di biondo rosolio per affidarti
l’orgoglio dei giorni; o quando,
sul precipizio degli anni, senza più voce né voglia,
ti mostro il volto decorato di lamine e tagli,
non ho altro appiglio che te,
mia nuda parola.
Carattere mite e forte allo stesso tempo, sono certo che ogni volta che tornava a Morlupo, superato l’incrocio di Castelnuovo, gli sovvenivano alla memoria i versi che Carducci dedicò alla Maremma e che nella sua mente si adattavano perfettamente a se stesso e alla sua Morlupo.
Dolce paese onde portai conforme
l’abito fiero e lo sdegnoso canto
e il petto ov’odio e amor mai non s’addorme
pur ti riveggo e il cor mi balza in tanto.
Ben riconosco in te le usate forme
con gli occhi incerti tra il sorriso e il pianto
e in quelle seguo dei miei sogni l’orme
erranti dietro il giovanile incanto.
Oh quel che amai, quel che sognai fu invano
e sempre corsi e mai non giunsi il fine,
e dimani cadrò. Ma di lontano
pace dicono al cuor le tue colline
con le nebbie sfumanti e il verde piano
ridente nelle piogge mattutine.
Una staffetta, un passaggio di testimone tra un grande poeta dell’800 e un grande poeta del nostro secolo.
Testo di Angelo Zito, già membro della Giuria del Premio Salva la tua lingua locale